Indipendentemente dagli ingredienti dei cocktail Tiki, come ho accennato nel precedente articolo, molti di questi cocktail, grazie alla loro espressione concettuale, in particolare quelli della miscelazione di Don the Beachcomber, hanno acquisito una forte identità e sono sopravvissuti al tempo, alle mode e addirittura alla mancanza degli ingredienti originari.
Questo valore del drink, impreziosito dalla ricerca di gusto, incontra le sensazioni delle persone ed è così importante da essere stato fin da subito replicato ed imitato.

Nonostante Donn tenesse molto alla riservatezza degli ingredienti dei cocktail Tiki delle sue ricette, dopo pochissimo tempo, decine dei suoi drink, con nomi del tutto simili a quelli originali sono stati riproposti nei bar di Hollywood, dove tutto è iniziato, per essere poi replicati in tutti gli Stati Uniti e nel mondo.
Nessuno a parte Donn aveva idea di cosa ci fosse dentro un Missionary’s Downfall, un Doctor Funk, Q.B. Cooler, un Pearl Diver, un Sumatra Kula, ecc.
Tuttavia fatta eccezione per alcuni drink come lo Zombie, che immediatamente diventa un classico e tutti conosceranno sempre con il nome Zombie, nascono ovunque preparazioni con ingredienti dei cocktail diversi ma dai nomi simili a quelli originali come Missionary’s Doom, Doctor Chan, Dr. Fong, K.O. Cooler, Deep Sea Diver, Cuba Kula, ecc.

Qualunque barman avrebbe potuto inventarsi cocktail con nomi ed ingredienti originali sullo stile Tiki, magari anche banali con passion fruit, ananas e qualche rum a caso ed in parte, non conoscendo le ricette originali, lo hanno anche fatto ma difficilmente sono rimasti nella memoria, causa la mancanza di un contesto.
Ciò che è curioso e che fa riflettere, in merito agli ingredienti, è che necessariamente tutti i barman che hanno approcciato questa nuova tendenza hanno dovuto sopperire alla mancanza di informazioni ed adattarsi nella miscelazione e nel bilanciamento, ma, per quanto riguarda il nomi ed il servizio di queste nuove creazioni o repliche tutti hanno voluto attingere all’idea originale dei drink di Donn.
Questa scelta è ovviamente attribuibile all’esigenza di richiamare quelle sensazioni, quei sentimenti, quei desideri di cui le persone avevano bisogno, quindi il richiamo al senso stesso del drink che ormai i clienti identificavano nelle pozioni esotiche di Donn.
Le sensazioni espressive avevano già surclassato la ricerca di gusto in relazione agli ingredienti dei cocktail Tiki e questo da subito ha garantito la popolarità del cocktail stesso.
Così tutti questi nuovi drink con nomi richiamanti gli originali si presentavano al cliente con lo stesso bicchiere di servizio che usava Donn, lo stesso colore e appunto un nome che ricordasse il drink di partenza ormai popolare.
Infine, ad eccezione degli ex dipendenti di Donn, i filippini, che hanno acquisito conoscenze tecniche e intuito gli ingredienti delle ricette Tiki così da potersi inventare anche nuovi cocktail e fare dei twist di quelli originali, gran parte dei barman hanno creato molti drink e twist non contestualizzati che oggi non si ricordano più.
Gli ingredienti dei cocktail Tiki.
La miscelazione Tiki come ho già detto è divisa in varie fasi e, in relazione a queste, molti tendono a classificare gli ingredienti delle ricette Tiki distinguendoli per periodi.
Dal mio punto vista può essere corretto solo se vogliamo dargli un’accezione puramente storica e temporale ma assolutamente inutile per capire i bilanciamenti di queste miscelazioni, anche in prospettiva di un twist o di nuovi cocktail.
Ciò che rende questi cocktail identificabili è un preciso stile, la tecnica ed il concetto espresso di cui ho a lungo parlato, indipendentemente dall’origine degli ingredienti del cocktail tiki.
Ovviamente Donn nel 1930 ha creato dei cocktail adatti al modo di bere ma anche di vivere della società del tempo, quindi dei cocktail statici, potenti, complessi e se vogliamo meditativi.
Donn per questo motivo non usa mai frutta fresca ma solo lavorata, sicuramente per garantire una shelf-life più lunga ma soprattutto per ottenere una concentrazione aromatica più alta e ottimizzata possibile che risultasse addirittura esplosiva ad ogni sorso.
Nonostante questa prerogativa, quando alcuni ingredienti venivano a mancare, l’unico modo per ottenerli era andare a prenderli di persona.
Quando sulla porta del Don the Beachcomber veniva affisso il cartello “Gone to the Island” era il segno che Donn ave a chiuso il bar per andare alle Hawaii a recuperare gli ingredienti per le ricette Tiki.

Gli ingredienti primari, imprescindibili e necessari per i drink di Donn sono i rum.
Il resto sono “accessori”, complementari, ovvero utilizzati per aromatizzare, bilanciare e addirittura anche solo per armonizzare i colori.
Possiamo dire che gli ingredienti di molti dei cocktail tiki di Donn, in relazione agli aromi, hanno praticamente la stessa funzione del bitters e dello zucchero nell’old fashioned. Esaltare, bilanciare, migliorare e apportare aromi, non a caso questo stile, questa tecnica, è così importante per la miscelazione dall’inizio della storia del cocktail.
Ma siamo sicuri che se Donn avesse avuto a disposizione frutta tropicale, orientale, europea ecc. non l’avrebbe utilizzata?
Io credo che l’avrebbe fatto, sono convinto che se, come noi oggi, avesse avuto regolarmente a disposizione il mango, le pesche, le pere, il litchi, lo yuzu ecc. del bengalese sotto casa avrebbe usato qualsiasi ingrediente.
Questo non significa però che avrebbe creato cocktail alla frutta.
Sicuramente, allo stesso modo del passion fruit, che usava regolarmente, avrebbe lavorato questi prodotti in modo da poter garantire il risultato di cui ho prima parlato, ovviamente sempre in relazione ai rum.
Capire i cocktail per poterli twistare.
Ogni cocktail degno di nota ha una ragione che giustifica la sua esistenza e la sua resistenza al tempo, questa ragione è espletata attraverso la tecnica e la lavorazione degli ingredienti delle ricette tiki.
Capire il senso del drink ci aiuta a ricreare un modo di bere, uno stile e quindi a fare dei twist.
Per questo credo che non ci sono aromi che vanno bene e aromi che non vanno bene, tutti i possibili ingredienti del cocktail vanno lavorati per ottenere il risultato tecnico adeguato al senso.
Non sempre ma, soprattutto nelle miscelazioni Tiki di rilievo, ad eccezione forse per alcuni cocktail sporadici dalla notorietà dovuta all’immagine e al periodo, l’identificazione dei drink è determinabile da una certa predominanza di stile dettato dall’autore.
Questo stile reiterato, “il polso del bartender”, spesso traccia una nuova linea di miscelazione o addirittura inizia e identifica un periodo storico indipendentemente dagli ingredienti delle ricette Tiki.
In tal caso, questa logica di stile, la firma dell’autore quindi, è presente anche in ogni categoria diversa del drink.
Essendo stata la cultura Tiki così coinvolgente da inserirsi nelle abitudini di un’intera società e in tutti i suoi aspetti, anche le più vecchie miscelazioni e categorie di drink, tra cui le più classiche e antiche, vengono adattate al Tiki ma le migliori reinterpretazioni di queste saranno sempre riconducibili ad uno stile preciso, spesso dettato dai padri fondatori.
Ci possono essere quindi essere cocktail come julep, sour, old fashioned, punch caldi ecc. contestualizzati nel periodo Tiki e caratterizzati da uno stile determinato dall’autore.
I punch caldi, i coffee grog, gli hot buttered (clicca per leggere l’articolo) oppure i drink serviti dopo un pasto ad esempio, fanno comunque parte di queste miscelazioni anche se diverse categorie e stile da quelli consuetudinarie che siamo abituati oggi a conoscere del Tiki.
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A questo proposito quindi possiamo trovare anche gli stessi ingredienti ma lavorati con tecniche diverse per esprime risultati diversi. Per spiegare meglio questo concetto l’unico modo è fare degli esempi di ingredienti dei cocktail tiki.
Esempi di lavorazione degli ingredienti dei cocktail Tiki

Partiamo dal più discusso, il cocco nella miscelazione Tiki.
Donn non usa mai il cocco nei suoi drink, ad eccezione di una crema di cocco home made, dato che la prima crema di cocco industriale, Coco Lopez, ancora non esisteva. Ma è importassimo notare che il suo utilizzo è relegato solo esclusivamente ai punch caldi, come ad esempio il Tiger’s Milk.
La diffusione e la popolarità della Pina Colada sul finire degli anni 50′, in piena era Tiki, ha contribuito a confondere differenti stili. Ancora oggi è diffusa erroneamente la convinzione che la Pina Colada sia un cocktail Tiki e così il cocco ingrediente delle ricette Tiki
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Il motivo per cui non viene mai usato è semplice, la crema di cocco è grassa e dolce ed inoltre in quantità modiche non ha aromi particolarmente spinti che non possano essere sovrastati dalla dolcezza.
A differenza della ricorrente mandorla per l’orzata, in particolare la mandorla amara, il cocco lavorato non ha lo stesso valore di pungenza e capacità aromatica in proporzione alla dolcezza e alle quantità di utilizzo.
Non a caso, ciò che ha reso la Pina Colada un drink desueto è stata la difficoltà di bilanciamento che erroneamente ha portato alla convinzione che fosse un drink dolce, quindi non adatto a tutti palati.
L’acqua di cocco (fresco) invece, comunque non reperibile facilmente, sarebbe troppo poco intensa e diluirebbe troppo il drink di Donn destrutturandolo irrimediabilmente in merito al suo scopo.
Nell’utilizzo invece che ne fa Donn la crema di cocco è invece perfetta da sostituire o da addizionare in buona dose al burro in un hot buttered, donando appunto aroma, esaltato anche dal calore del cocktail, dolcezza e texture.
Anche Trader Vic non fa utilizzo della crema cocco nei suoi cocktail, non adatto particolarmente ai suoi drink molto freschi e acidi.
In ogni caso secondo il mio modo ti interpretare la miscelazione Tiki, in questo particolare esempio in riferimento a Donn, non mi sento di escludere a priori l’ingrediente “cocco” solo perchè Donn non lo utilizzava.
Premettendo che a gusto personale non è un aroma che a me piace molto, oggi però esistono molte altre tecniche innovative per estrarre gli aromi e lavorarli per adattare gli ingredienti delle ricette.
Dunque se abbiamo il sonicatore spaziale rotante o l’alabarda evaporante a raggi protonici che usa Daitarn III, Jeeg Robot, Giovannni Ceccarelli, ed il Cern a Ginevra possiamo trovare il modo di valorizzare un aroma escludendo le altre caratteristiche che sarebbero inficianti nel drink. Nel caso del cocco ovviamente la parte grassa.
In questo senso possiamo utilizzare innumerevoli aromi e quindi fare molti twist selezionando prodotti anche nuovi e quindi diversi dagli ingredienti dei cocktail tiki originali, mantenendo il senso del cocktail e magari lo stile dell’autore che vogliamo replicare.

L’ingrediente grasso nei Cocktail di Donn
Già all’epoca lo stesso Donn aveva capito il senso della lavorazione dei suoi ingredienti delle ricette tiki in relazione agli aromi.
Esistono delle preparazioni grasse con blend di aromi a dir poco eccezionali, basti pensare al semplice Coola Culla Mix o al leggendario Gardenia Mix.
Ma come ho già detto prima il loro utilizzo in queste miscelazioni, causa l’eccessiva parte grassa, influenzerebbe negativamente il cocktail.

Quando Donn decide di utilizzare gli aromi dell’eccezionale Gardenia Mix (preparazione al burro studiata per gli hot buttered) in un drink freddo come ad esempio il Pearl Diver lo lavora in modo differente.
Da questi pesanti ingredienti dei cocktail Tiki viene esclusa la parte grassa conservando invece gli aromi nel cocktail.
Dosando in modo diverso il ghiaccio e filtrando sgrassa tutto il drink dopo averlo freddato, praticamente con una tecnica semplice che oggi è in uso frequentemente e conosciuta come fat wash.
Tecnica geniale se pensiamo che applicava un fat wash istantaneo sul drink negli anni 30’.
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